Una sentenza del giudice di Brindisi condanna la Asl a risarcire un infermiere utilizzato per rifare i letti dei pazienti. Pronta anche a Lecce una lista di richieste risarcitorie.

Ci sono voluti 3 anni, ma alla fine un infermiere professionale di ruolo in servizio presso la Chirurgia Vascolare del “Perrino” di Brindisi l’ha spuntata.

 

Il giudice del lavoro del capoluogo messapico, dr. Domenico Toni, con la pronuncia della sentenza 1306 del 9 maggio 2017, ha riconosciuto al ricorrente infermiere un adeguato «risarcimento per danni da demansionamento».

Il giudice, in via equitativa, ha valutato il danno pari al 6% della retribuzione per ogni anno di demansionamento. A conti fatti, circa 14mila euro.

Il magistrato del lavoro ha ritenuto fondato il ricorso di un infermiere il quale dall’ottobre 2006 era stato costretto a svolgere mansioni inferiori alla sua qualifica, competenza e responsabilità, che gli sono riconosciute dal decreto 739/94.

In particolare – si legge nella sentenza - il suo superiore gli faceva svolgere mansioni alberghiere, come il riordino dei letti, il trasporto dei pazienti, le incombenze igieniche sui ricoverati, la chiusura dei “rifiuti trattati ospedalieri”. Tutte mansioni che non sono di competenza infermieristica e che dovrebbero essere svolte dagli Oss, gli operatori socio-sanitari e più propriamente dall’ Ota, l’operatore tecnico e ausiliario.

La difesa della Asl ha sostenuto che tali mansioni gli erano state affidate perché il reparto non disponeva di alcun Oss, né di Ota. Ma per il giudice del lavoro di Brindisi non era una ragione valida e sufficiente. Ragion per cui ha ritenuto che il danno da risarcire è costituito essenzialmente dall’impoverimento delle sue capacità per mancato esercizio quotidiano del diritto di elevare la professionalità.

La sentenza, com'era prevedibile, ha avuto un effetto “domino” anche nella Asl di Lecce, dove il sindacalista della Uil-Fpl, Mario Riso ha messo a disposizione la segreteria per l’istruzione dei ricorsi da parte di quegli infermieri che ritengono di essere nelle condizioni analoghe a quelle del collega brindisino. E pare che non siano pochi.